La mia idea è che questa Rete ce la farà tanto meglio quanto più sarà creata della stessa materia da cui sta nascendo: vero slancio disinteressato.
La penso così perché ne ho già fatto esperienza diretta (ed è questo che vorrei condividere qui), quando io e altre, che eravamo ancora poco più che ragazze unite dalla passione per l'ecologia, abbiamo pensato di organizzare un "grande evento" con quell'ingenuità megalomane che a volte si ha da giovani. Volevamo un grande momento di confronto, trasversale e a livello internazionale sull'architettura sostenibile, a partire dalla comprensione della complessità ai fini di ribaltare il modo di progettare.
Era il 1993: su questi temi nelle università non c'era quasi niente; ai primi congressi internazionali sull’energia sentivo parlare solo di impianti, tecnologie.. mai che si parlasse di cultura del progetto, di visione di insieme, di gestire la relazione interno/esterno, di sinergie precise fra impianti e materiali, di progettare l’interazione delle strutture con il clima imparando da secoli di esperienze, di progettare l'intera vita degli edifici e degli oggetti, prevedendone (e gestendone) sprechi, danni, dismissioni, recuperi. Anche il Gotha dei pioneri di questa fantomatica sostenibilità parlava più che altro di isolamenti sintetici abbinati a impianti solari come astronavi.
Noi donne, invece, eravamo convinte che i guru dell’Architettura occidentale, i maghi dell’ingegneria energetica, i pionieri seri dell'ecodesign e gli sperimentatori californiani dell’autosufficienza degli anni Sessanta, così come gli esperti di Vastu e Feng shui in India e in Cina, avessero tutti un sacco di cose da dirsi l’un l’altro e da imparare a vicenda: ci voleva integrazione delle esperienze e un cambio di mentalità.
Detto e fatto. Io (architetta) e mia sorella Letizia (biologa ed ecologa), facemmo l'alleanza
Architettura & Natura con la ferma intenzione di chiamare a raccolta da tutto il mondo quel che c’era di meglio e mettere a disposizione, nelle sue diverse declinazioni, la somma di queste evidenze.
Andammo poi a presentare il nostro progetto alle figure allora ritenute più autorevoli in questi campi. Volevamo i loro contributi; inoltre sottoporre loro questo progetto era una forma di elementare rispetto. Però, la reazione che incontravamo era (quasi) sempre la stessa.
Il signore in questione (90% maschio e in età matura), sbirciava il progetto e poi poneva gravemente una di queste 2 domande (o tutte e due):
Ma, scusate, non vi sembra di aver messo troppa carne al fuoco? Quanti argomenti ci sono? ma anche: e chi sareste voi, per promuovere un progetto cosÏ ambizioso? un po' il nocciolo era:
1. La "complessità" è per me un concetto astratto.
2. Se dovessi occuparmi di una mostra di simili proporzioni sarebbe perché mi danno un incarico (pagato) e dirigo io, mica per accodarmi a voi.
Fecero eccezione il prof. Ezio Manzini che, pur mettendoci in guardia sulle difficoltà a cui andavamo incontro, approvò l'idea, e Gabriele Mazzotta che, pur convinto ci avrebbe perso dei soldi, si offrì di finanziare
catalogo, inviti e conferenza stampa. E così, sostenute dal lumicino di questi incoraggiamenti, siamo andate avanti, raggiunte pian piano da volonterosi amici preziosi, come Gherardo Frassa per esempio.
Sponsor: zero (era l’anno di tangentopoli).
Aiuti o ascolto dal Comune di Milano: zero. A Milano era l’anno della Lega e la sostenibilità non interessava a nessuno; ma in quel momento a Torino veniva istituito il primo e inedito "Assessorato alla sostenibilità", e il giovane neo-eletto assessore Giovanni Vernetti (che era pure architetto) ci diede ascolto. Torino mise così a disposizione la Mole Antonelliana (per l’ultima occasione, poi la Mole divennne Museo del Cinema), e dopo un anno di lavoro, nel 1994 la mostra aprì. Abbiamo lavorato fino a svenire senza committenti e senza garanzie da nessuno; ci siamo presentate da cento aziende a chiedere aiuti di ogni genere, sotto forma di noleggi o forniture gratuite; molti che all'inizio erano scettici negli ultimi 2 mesi si sono uniti a noi. Così alla fine abbiamo raggiunto un budget di circa 600 milioni di lire: di cui solo 135 (circa 70.000 € di oggi) in denaro, tutto il resto in sponsorizzazioni tecniche. La mostra, che chiamò centinaia di progetti da tutto il mondo, alla fine un confronto inedito fra progettisti riuscì a realizzarlo; durò 2 mesi e mezzo, integrata da un ciclo di 20 conferenze, ed esaurì tutti i cataloghi. Esiste
a questo link un vecchio video con qualche ripresa e un servizio del TG.
Ma niente di tutto ciò avrebbe potuto succedere senza quell’amore disinteressato e testardo di chi sa che sta facendo una cosa giusta, perché farla è bello: come dipingere un quadro, anche se nessuno lo comprerà mai. Come cucinare un piatto, o fare qualunque altra cosa con passione. Lo stesso potrebbe essere di questa rete, per il semplice fatto che, se realizzata veramente come viene descritta, non è un progetto commerciale né di potere, è solo bello, come fare un bambino.
Scrisse Gio Ponti qualcosa che mi colpì nel profondo:
"Muzio ha detto un giorno una cosa emozionante: su quest’opera si è lavorato tanto tempo, dunque è bella. Modo suggestivo per affermare quei valori di impegno umano che restano attaccati all’opera e, dopo, irraggiano Bellezza. Così sono belle tutte le cattedrali medioevali con tutte le loro infinite statue, con tutto quell’infinito impegno e lavoro, quella infinita fede, quella infinita preghiera e quell’amore (..). Tutto quel lavoro che non si vede, nei fregi, nelle sculture: certi sottosquadra, certi finimenti dei rovesci che nessuno può veder mai, ma che esistono, producono un valore d’arte supremo: prodotto dall’amore (...). E' la Bellezza la struttura e il materiale più resistente: si oppone alla distruzione dell’uomo, che è il più feroce alleato del tempo (..). L’Architetto non tema la ristrettezza dei mezzi: quanto più si limitano i mezzi all’Architetto (...) allora egli supplisce alle difficoltà materiali con la facoltà spirituale". (da “L’architettura è un cristallo")
Ecco, credo che a questa facoltà spirituale dobbiamo ricordarci di fare sempre appello, e vale anche per questo progetto: che diventerà una cosa tanto più utile quanto più avrà questa bellezza, anche se “nascosta in quelle pieghe in cui non la si può veder mai”.