lunedì 11 marzo 2013

Carta di Milano per il rispetto dei bambini e delle bambine nella comunicazione

Il sito con il modulo per firmare la Carta di Milano si trova QUI, insieme al preambolo e all'introduzione. Se comprendi l'importanza di questa iniziativa, promossa da Terre des Hommes.. firma e fai firmare. Di seguito i 10 punti della Carta:
1. Le bambine e i bambini non sono oggetti bensì soggetti attivi, con la loro dignità, i loro gusti, speranze, sensibilità, idee e valori di cui si arricchiscono e che con loro si rafforzano. Hanno diritti inalienabili e doveri. La rappresentazione delle bambine e dei bambini dovrebbe sempre tenere conto di questa grande ricchezza coinvolgendoli in modo attivo e coerente con gli obiettivi di comunicazione ed evitando l’uso meramente ostensivo, sensazionalistico e artificioso della loro immagine.

2. I bambini e le bambine sono tali indipendentemente dal colore della loro pelle, dalla provenienza etnica, dalla loro fede religiosa e dalla loro condizione sociale. La comunicazione deve saper raccontare tutte le diversità etniche, religiose, sociali e geografiche evitando stereotipi e messaggi discriminatori.

3. La comunicazione deve tenere conto delle differenti età dei bambini e delle bambine coinvolti rispettandone la naturale evoluzione. Non bisogna rappresentarli in comportamenti, atteggiamenti e pose inadeguati alla loro età e comunque non corrispondenti al loro sviluppo psichico, fisico ed emotivo. Ogni precoce erotizzazione dei bambini e delle bambine va bandita dalla comunicazione.

4. La comunicazione dovrebbe rappresentare le bambine e i bambini in maniera veritiera, rifuggendo da ogni idealizzazione, buonismo o pietismo e bandendo, nel contempo, ogni promozione o incitamento di comportamenti devianti o violenti. La comunicazione dovrebbe rispettare la fantasia, la creatività e la curiosità dei bambini e delle bambine, così come quel delicato mondo di relazioni e interazioni in cui vivono ogni giorno.

5. I bambini e le bambine non devono essere rappresentati attraverso la raffigurazione adultizzata di stati d’animo negativi quali noia, depressione, rabbia, paura, o insoddisfazione che mirano solo a una loro strumentalizzazione a fini commerciali. Quando questi sentimenti negativi vengono rappresentati, lo devono essere secondo una modalità coerente, autenticamente corrispondente al significato che essi hanno per i bambini.

6. I bambini sono bambini. Sono femmine e sono maschi, con lo stesso diritto a essere rispettati come persone a tutto tondo. La comunicazione non deve rappresentare il genere in categorie fisse, esaltando attributi di virilità e forza, da un lato, di dolcezza e remissività dall’altro. La comunicazione non deve presentare continuamente i bambini e le bambine in attività convenzionalmente destinate a uomini o a donne, rafforzando le discriminazioni di genere.

7. Le bambine e i bambini hanno bisogno di punti di riferimento forti che trovano soprattutto nei loro familiari e nelle figure affettive a loro più vicine ovvero in chiunque si prenda cura del loro benessere psico-fisico. La comunicazione non dovrebbe sminuire nessuna di queste figure, togliendo ai bambini, specie i più piccoli, la fiducia nelle persone che sono fondamentali per il loro sviluppo psicologico, fisico e per la loro educazione.

8. La fragilità dei bambini e delle bambine e il loro bisogno di protezione non devono essere strumentalizzati per indurre negli adulti senso di colpa, inadeguatezza o allarmismo.

9. La rappresentazione di bambini e bambine affetti da patologie non deve ricorrere a immagini, descrizioni o discorsi che possano ledere la loro dignità.

10. Il benessere delle bambine e dei bambini è prezioso e la loro alimentazione è fondamentale perché possano crescere in modo sano ed equilibrato. La comunicazione dovrebbe promuovere un corretto stile di vita fisico e alimentare, cercando di rafforzare comportamenti che salvaguardino il benessere presente e futuro dei bambini.

domenica 10 marzo 2013

Legge 194: cosa vogliono le donne. Il Manifesto

Al convegno sulla legge 194 tenutosi oggi a Milano è stato presentato questo manifesto che sottoponiamo a tutt*, con preghiera di diffondere per la raccolta di adesioni.
PREAMBOLO
La legge 194/1978 che disciplina in Italia l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) compirà 35 anni il prossimo 22 maggio. Quasi 4 decenni dopo quel passaggio storico per il nostro Paese, vediamo tradito il suo senso, snaturata la sua applicazione e temiamo per il suo futuro.
Partendo dal punto di vista delle donne e utilizzando le diverse competenze di cui siamo portatrici, abbiamo scritto questo Manifesto rivolto agli attori politici e sociali, al movimento delle donne di cui siamo partecipi e alla società tutta. Questo manifesto contiene alcune proposte concrete per assicurare alla legge 194/78  un futuro migliore di questo problematico presente.

L'APPELLO
Ci siamo chieste che cosa vogliono le donne che scelgono di interrompere una gravidanza e lo abbiamo sintetizzato in alcune parole chiave: il rispetto della propria scelta, una corretta accoglienza e la sicurezza per la propria salute. Queste parole possono non restare tali, a patto che l’obiezione di coscienza, seppur tutelata, non gravi sull’esperienza concreta di chi sceglie di interrompere una gravidanza.
Nessun ospedale pubblico o privato accreditato può sottrarsi alla applicazione della legge e tutti devono garantirla con proprio personale non obiettore.
La qualità del servizio significa: semplicità di accesso, accuratezza dell’atto medico e adeguatezza della relazione medico-paziente. Tutto ciò non si dà se l’interruzione di gravidanza (chirurgica e farmacologica) continua ad essere vissuta come la “Cenerentola” degli atti medici, un fastidioso problema per le organizzazioni sanitarie e la grande assente nel percorso formativo di medici e personale sanitario.
Occorre insomma restituirle dignità etica e scientifica.
Ed occorre, insieme, ridare ai consultori la centralità che hanno avuto in passato nel percorso di interruzione della gravidanza: accogliere la
donna, accompagnarla nella sua scelta, instaurare con lei una relazione sui temi della contraccezione.
Altri paesi europei e, in Italia, alcune regioni virtuose lo fanno già.
Non ci sono alibi, se non la mancanza di volontà politica e il deficit di laicità, perché tutto ciò che proponiamo nel nostro Manifesto non venga garantito ad ogni donna, ovunque viva nel nostro paese.
Per questo chiediamo agli attori politici, a ciascuno di loro secondo le proprie competenze, atti concreti.

LE PROPOSTE
1. Sull'obiezione di coscienza
La legge sancisce i confini del diritto all’obiezione di coscienza del personale sanitario. Confini che, nel tempo, sono stati travolti (per motivi di coscienza, ma anche di opportunità e di carriera) disattendendo i principi su cui si era fondata la loro formulazione. Essi vanno ristabiliti.

L’applicazione della legge
a) La legge non prevede un’obiezione di coscienza “di struttura”. Ogni struttura pubblica o del privato accreditato (sia essa un ospedale o un consultorio) dev’essere dunque obbligata ad applicare la legge. Solo a fronte di questo impegno può essere concesso l’accreditamento.
b) Le strutture pubbliche o del privato accreditato con servizi di Diagnosi prenatale devono provvedere, in caso di richiesta della donna, all’interruzione di gravidanza oltre i 90 giorni di gestazione a seguito di una diagnosi di anomalia fetale (aborto terapeutico), assicurando in tal modo la continuità assistenziale raccomandata in tutte le linee guida nazionali (Ministero della salute) e internazionali (OMS).
c) Non è previsto l’esercizio dell’obiezione di coscienza per la prescrizione e la vendita di dispositivi per la contraccezione, compresa la cosiddetta pillola del giorno dopo (che non è un farmaco abortivo).
d) Il medico ha il dovere di informare la paziente della propria scelta di obiezione e deve metterla al corrente dei suoi diritti in base alla legge vigente dandole tutte le informazioni utili (tipologia di intervento, tempi, luoghi, modalità) per accedere ai servizi che garantiscono l’applicazione della legge.
e) Il personale obiettore non è esentato dal prestare assistenza alla paziente prima e dopo l’intervento chirurgico e durante il trattamento farmacologico per l’IVG e per l’aborto terapeutico. In caso questo avvenga, il trasgressore dev’essere deferito al Consiglio di disciplina.

L’organizzazione del servizio
a) All’interno delle divisioni di Ginecologia ed Ostetricia si devono istituire Strutture Semplici dedicate all’IVG. Il personale medico necessario al funzionamento di queste strutture dev’essere assunto con concorsi o procedure appositi.
b) La mobilità del personale non obiettore tra Enti o l’utilizzo di liberi professionisti esterni per garantire la continuità di servizio deve avere carattere transitorio.
c) La contrattazione sindacale aziendale deve ottenere una modalità di organizzazione del lavoro che non penalizzi il personale dedicato al servizio di IVG (ripartizione equa dei carichi di lavoro, salvaguardia dei riposi e delle ferie) e che si avvalga del personale obiettore per quanto riguarda l’assistenza necessaria nella fase precedente e successiva all’intervento.

2. Il ruolo dei consultori e la contraccezione
a)  Si richiede alla Regione Lombardia la modifica della Deliberazione n. 2594 dell’11-12-2000 nella parte che consente ai consultori privati accreditati di non dare consulenza sull’interruzione di gravidanza.
b) I consultori (pubblici, privati accreditati e privati laici) devono assumere un ruolo centrale nel percorso dell’interruzione di gravidanza. Tocca a loro costituire una via preferenziale per predisporre l’accesso all’ospedale di riferimento della donna e garantire un incontro dopo l’intervento per una consulenza sulla contraccezione.
c) Il consultorio deve distribuire materiale informativo tradotto in varie lingue su contraccezione, prevenzione e servizi sociosanitari territoriali, e deve poter contare sulla collaborazione di mediatrici linguistico-culturali.

3. La formazione e l'accoglienza
a) L’interruzione di gravidanza viene oggi gestita come un “problema” che le strutture sanitarie affrontano affidandosi talvolta a consulenti esterni e gettonisti. Va restituita dignità scientifica ed etica all’atto medico dell’IVG, come questione che attiene alla salute e all’autodeterminazione delle donne. Occorre quindi un intervento formativo, oggi carente o assente, rivolto a futuri medici (facoltà universitarie e scuole di specializzazione) e ad altri professionisti sanitari, che preveda anche un aggiornamento sulle tecniche (incluso l’aborto farmacologico) e sulla sicurezza dell’intervento.
b) Occorre disporre negli ospedali di spazi separati per l’accoglienza e la degenza delle donne che effettuano le interruzioni di gravidanza.

4. L'I.V.G. farmacologica
La letteratura scientifica conferma che l’aborto farmacologico non richiede il ricovero ospedaliero di tre giorni. Si chiede dunque che possa essere praticato anche in regime di day hospital, come avviene in altri paesi europei e nella Regione Emilia Romagna.

5. La commissione di inchiesta sull'applicazione della legge
Da indagini informali risulta che i dati ufficiali forniti dalla relazione annuale del Ministero della Salute sulla legge 194 non riescono a fotografare lo stato reale della sua applicazione sul territorio. Chiediamo che venga costituita una commissione di inchiesta che verifichi i dati ufficiali sulle percentuali di obiezione (molti sanitari che non hanno ufficializzato l’obiezione non sono di fatto disponibili a fare IVG) e ne rilevi altri di grande interesse anche per valutazioni sul futuro della legge sul medio e lungo periodo (l'età dei non obiettori, la diffusione e le modalità  dell'aborto farmacologico).

6. La via giuridica nazionale e sovranazionale alla garanzia di servizio
a) Promozione di giudizi incentrati sulla violazione del diritto alla vita e alla salute della donna laddove l’esercizio dell’obiezione di coscienza non è bilanciato da atti che garantiscano il servizio di interruzione di gravidanza come previsto dalla legge 194.
b) Promozione di giudizi relativi al carico di lavoro che ricade sul personale sanitario non obiettore quando esso compromette l’esercizio degli altri diritti di cui il personale è titolare in forza del rapporto e/o degli incarichi di lavoro.
c) Proposizione di reclami collettivi al Comitato Europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa, che riguardino i profili di contrasto rispetto alla Carta Sociale Europea in relazione alla tutela del diritto alla vita, alla salute e alla autodeterminazione della donna, nonché alla tutela dei diritti lavorativi del personale sanitario e medico non obiettore di coscienza.

Milano, 9 marzo 2013

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