Cinquantaquattro. L’Italia rincorre primati: sono 54, dall’inizio di questo 2012, le donne morte per mano di uomo. L’ultima vittima si chiama Vanessa, 20 anni, siciliana, strangolata e ritrovata sotto il ponte di una strada statale. I nomi, l’età, le città cambiano, le storie invece si ripetono: sono gli uomini più vicini alle donne a ucciderle.
Le notizie li segnalano come omicidi passionali, storie di raptus, amori sbagliati, gelosia. La cronaca li riduce a trafiletti marginali e il linguaggio le uccide due volte cancellando, con le parole, la responsabilità. E’ ora invece di dire basta e chiamare le cose con il loro nome, di registrare, riconoscere e misurarsi con l’orrore di bambine, ragazze, donne uccise nell’indifferenza.
Queste violenze sono crimini, omicidi, anzi femminicidi. E’ tempo che i media cambino il segno dei racconti e restituiscano tutti interi i volti, le parole e le storie di queste donne e soprattutto la responsabilità di chi le uccide perché incapace accettare la loro libertà.
E ancora una volta come abbiamo già fatto un anno fa, il 13 febbraio, chiediamo agli uomini di camminare e mobilitarsi con noi, per cercare insieme forme e parole nuove capaci di porre fine a quest’orrore. Le ragazze sulla rete scrivono: con il sorriso di Vanessa viene meno un pezzo d’Italia. Un paese che consente la morte delle donne è un paese che si allontana dall’Europa e dalla civiltà.
Vogliamo che l’Italia si distingua per come sceglie di combattere la violenza contro le donne e non per l’inerzia con la quale, tacendo, sceglie di assecondarla.
Ci associamo subito anche noi a questo appello, lanciato dal Comitato promotore nazionale Senonoraquando, Loredana Lipperini e Lorella Zanardo. Le adesioni in arrivo sono tantissime; per aderire scrivete a info@senonoraquando.eu, oppure firmate la petizione, QUI.
Non perdiamo l'occasione, però, per ricordare che questa battaglia andrebbe associata a quella per dare ossigeno ai centri antiviolenza, che da anni subiscono continui attacchi e si estinguono uno dopo l'altro per mancanza di fondi.
Non perdiamo l'occasione, però, per ricordare che questa battaglia andrebbe associata a quella per dare ossigeno ai centri antiviolenza, che da anni subiscono continui attacchi e si estinguono uno dopo l'altro per mancanza di fondi.
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